di Don Paolo Pietroluongo
da Fraternità e Missione, 1-2018

I bambini che arrivano al catechismo, tranne alcune eccezioni, non hanno alcuna esperienza del rapporto con Dio. Al momento del segno di croce, mentre faccio quel gesto tanto semplice quanto profondo, insegnatomi da mia madre ancor prima che sapessi parlare, molti bambini mi guardano sgomenti, come se fossi venuto chissà da quale pianeta. È finita l’epoca in cui tutti, chi più chi meno, avevano ricevuto da piccoli un’educazione religiosa. Fino a qualche anno fa, faticavo ad accettare questa condizione; oggi ho capito che non posso dare per scontato che i bambini sappiano chi è Gesù.

Proprio per questo motivo, il nostro catechismo ha assunto, fin da subito, la forma di un vero e proprio “primo annuncio della fede”. Partiamo dalle basi: Gesù è il Figlio di Dio, venuto sulla terra per renderci felici e per condividere la sua vita con noi. Raccontiamo di Maria e di Giuseppe, dei suoi amici Pietro e Giovanni, e poi dei grandi miracoli che ha compiuto e delle sue parabole. Come? Attraverso il teatro. Raduniamo tutti i bambini, circa un centinaio, in una sala, allestiamo la scenografia (ogni volta diversa, ma sempre molto precisa), indossiamo i costumi che la signora Isa ha realizzato apposta per noi, ed entriamo in scena. Don Attanasio ed io recitiamo le parti principali. Ci aiutano i ragazzi più giovani dell’oratorio, che interpretano i ruoli secondari. I bambini sono letteralmente rapiti da ciò che accade. Lo zoppo che chiede di essere guarito; il tesoro trovato nel campo; Gesù che piange ma che poi resuscita Lazzaro; Maria che dopo un lungo silenzio dice “si” all’angelo Gabriele. Il teatro ha questa forza intrinseca: rende presente ciò che è oggetto di rappresentazione. Si tratta di qualcosa che sta avvenendo in quel momento. E i bambini, sensorialmente più aperti ad accogliere il nuovo, entrano nella scena in pochi secondi. In questo modo molto semplice, divertente, comunichiamo la storia di Gesù. Per molti è una storia nuova, mai sentita. Eppure diventa subito familiare, perché Gesù ha condiviso tutto di noi, ed è facile ritrovarsi negli episodi della sua vita.

Dopo il momento di teatro, i bambini vanno nelle classi: non più di 15 bambini, per favorire un rapporto personale con le catechiste e con i preti. Qui riprendiamo i contenuti della scena recitata e cerchiamo di mostrare l’attinenza di quello che si è visto nel teatro con la vita di tutti i giorni. Infine, ci sono i concetti da fissare a memoria. Durante gli anni di catechismo chiediamo ai bambini di imparare a memoria poche cose: le preghiere, i comandamenti e i sacramenti. I bambini però non vivono questo esercizio mnemonico come un esame, con pesantezza. Lo fanno invece con leggerezza e semplicità. Il motivo è molto semplice: vivono un rapporto personale con noi sacerdoti e con le catechiste. Spesso mi capita di dover ascoltare per tutta la durata del catechismo, tutti i bambini di una classe che ripetono l’Ave Maria, uno alla volta. Sono loro a dirmi: “Ascolta anche me, adesso!”. Vogliono mostrarmi che se hanno imparato a memoria qualcosa l’hanno fatto innanzitutto per me, per dimostrarmi che mi vogliono bene. È il loro modo per restituirmi l’affetto e l’attenzione che hanno trovato quando sono arrivati in Oratorio.

Sono certo che tutto questo lascerà in loro un ricordo positivo. Chi rimarrà legato alla Chiesa, potrà poi con il tempo approfondire altri aspetti della vita di Gesù e fare con noi un cammino, come è accaduto per i quaranta bambini di quinta elementare che hanno deciso di continuare a frequentare il catechismo. Chi invece si allontanerà, conserverà forse nella memoria, insieme alle scenette e ai vestiti colorati, i volti sorridenti delle persone più grandi che hanno saputo ascoltarli e rispondere alle loro domande. E magari potranno pregare ancora l’Ave Maria, imparata anni prima in oratorio.