di Don Paolo Pietroluongo
da Fraternità e Missione, 5-2018

Il martedì è uno dei giorni più faticosi nella nostra parrocchia. Dopo gli impegni del fine settimana, si accumulano tutte le faccende da sbrigare. In genere, mi sveglio al mattino molto carico, sapendo che mi aspetta una giornata impegnativa. Ma a volte sembra che gli imprevisti si diano appuntamento tutti insieme.

Quel martedì alle 9.30, dopo la messa, dovevo già affrontare, nell’ordine: una tubatura rotta nella cripta della chiesa, il blocco del gruppo elettrogeno del teatro parrocchiale, le telefonate dall’oratorio per un problema alla palestra. Come se non bastasse, c’erano poi le innumerevoli mail a cui rispondere. Anche il pomeriggio si svolge intensamente, tra incontri, appuntamenti e altre emergenze. Arrivano le 19 e sono distrutto.

La giornata, però, non è ancora finita: devo vedere una famiglia. Hanno due figli, Fabio e Beatrice (tutti i nomi sono di fantasia), entrambi biondissimi. Fabio, 7 anni, frequenta il catechismo da noi. Appena entro, i bambini mi assalgono. Non ho neanche il tempo di togliere la giacca che già mi trascinano in sala, sotto gli occhi impotenti dei genitori. Mi mettono a sedere sul divano e Fabio mi chiede di ascoltare i suoi pezzi migliori alla tastiera, da Jingle Bells (un po’ fuori stagione) a Sofià di Alvaro Soler. Beatrice, 4 anni, non vuole essere da meno e mi mostra prima la sua bacchetta magica ultra colorata, poi come ha imparato a fare ruota e capriola. Ovviamente, apprezzo tutto e non risparmio complimenti. Ci tengono a farmi vedere che hanno dei talenti. Con fatica, i genitori ci portano a tavola. Durante la cena, Fabio e Beatrice ripetono il mio nome: “Don Paolo, guarda! Don Paolo, ascolta i miei indovinelli! Don Paolo, posso farti una domanda? Don Paolo, voglio sedermi vicino a te!”. Vogliono la mia attenzione: capisco di essere stato atteso tutto il giorno. Divertiti, i genitori confermano.

Finita la cena, dopo un’ultima battuta, mi alzo per andarmene: il giorno dopo, mi aspetta un’altra giornata impegnativa con il catechismo. I bambini intanto sono già in pigiama, mi salutano almeno dieci volte: Beatrice si nasconde sotto le coperte per farsi trovare e Fabio continua a darmi il cinque. Sa che domani ci rivedremo: ormai tra noi c’è un rapporto speciale.

Mentre scendo le scale di casa, mi sorprendo leggero, privo di stanchezza. Tutta la fatica della giornata è come svanita. La testa sembra essere più libera. E mentre percorro la strada verso la parrocchia, capisco perché. Chiedendo la mia attenzione, tirandomi per la giacca, quei bambini mi hanno insegnato che anch’io ho bisogno che qualcuno si accorga di me. E così, ripenso alla giornata trascorsa: i miei sforzi sono stati per tutto il tempo sotto lo sguardo benevolo di Dio e io non me n’ero accorto. Adesso, prendere coscienza di questo fatto mi dà pace e serenità. Ciò che ci fa fare più fatica non sono gli imprevisti o la stanchezza ma la paura che nessuno si accorga di noi, che nessuno apprezzi quello che facciamo, che i nostri sacrifici siano vani.

Fabio e Beatrice mi hanno ricordato che non siamo davanti al nulla ma di fronte a Dio, l’unico capace di amare fino in fondo i nostri sforzi, la nostra intelligenza, la nostra passione e anche la nostra obbedienza al lavoro quotidiano.