La fatica di sopportare se stessi
Molto spesso pensiamo a noi stessi con pesantezza, svogliatezza. Ci saremmo fatti in modo diverso, sicuramente non come siamo ora. Ci saremmo levati dei difetti, dei limiti, insomma, qualcosa di noi che proprio non sopportiamo. Tante volte non riusciamo neanche a dire cosa è che non ci va giù di noi. Sappiamo solo che vorremmo essere diversi da come siamo. Raramente pensiamo a noi come un dono, come un regalo, come qualcosa di prodigioso, di straordinario. E anche quando troviamo qualcuno che ci ama in modo vero, qualcuno che ci dice che andiamo bene così come siamo, alla fine non ci crediamo veramente. Anzi, tante volte vorremmo non esserci. Devo sopportare me stesso, oltre che gli altri!
C’è una frase di Santa Chiara che invece dice l’esatto contrario di tutto questo. Tutte le volte che l’ho letta o sentita ho sempre pensato che, sì, mi sarebbe piaciuto pensare a me stesso in quel modo, ma non ne ero capace. Questa frase dice: Sii benedetto, O Signore, perché Tu mi hai creata. Questa frase dice di una persona che è contenta di esistere, è contenta di esserci così com’è, dice di una persona che non si sopporta con noia e pesantezza; dice di una persona che sa amarsi, sa volersi bene.
Le Maschere
Proprio perché non ci sopportiamo, proprio perché vorremmo essere diversi da come siamo, il trucco a cui ricorriamo più spesso è quello di indossare delle maschere, per nascondere noi stessi o per essere delle altre persone. E perché facciamo così? Per tre motivi:
1) Non sappiamo chi siamo. Nessuno di noi sa chi è veramente. È continuamente alla ricerca di se stesso. Da una parte siamo continuamente alla ricerca del nostro vero volto, cioè del nostro carattere, dei nostri doni, dei nostri limiti (e questo è un bene enorme, è un desiderio giusto!); dall’altra però non sappiamo chi siamo. Ed è proprio per questo che noi indossiamo delle maschere, come se volessimo provarci un vestito: non sappiamo quale sarà quello che ci sta meglio, e per questo ne proviamo tanti, fino a che non troviamo quello giusto;
2) Perché desideriamo essere accettati dagli altri. Anche questo, di per sé, non è un male. Desiderare di essere accettati è segno di un desiderio di amicizia, di comunione, di fraternità, che ognuno si porta dentro. Questo desiderio diventa “sbagliato” quando, per essere accettati, per vivere insieme ad altri, diventiamo diversi da come siamo, cioè indossiamo delle maschere. Quante volte ci siamo trovati a fare delle cose, all’interno di un gruppo di amici, solo perché le facevano già altri, e se non l’avessimo fatte, ci avrebbero esclusi?
3) Ci vergogniamo di noi stessi. Iniziando a scoprire come siamo fatti, ci accorgiamo che, come dicevo, c’è qualcosa di noi che non ci piace, che vorremmo essere diversi. E allora indossiamo delle maschere per coprire alcuni atteggiamenti del nostro carattere che ci fanno soffrire, che non ci piacciono, che ci fanno imbestialire.
Sono tutte esperienze che tutti noi, almeno una volta nella vita, abbiamo provato. E, sinceramente, sono esperienze molto dolorose, che ci fanno soffrire. E allora? Non c’è nessuna via di uscita? Devo rassegnarmi ad essere così come sono? Dovrò soffrire tutta la vita perché sono “fatto sbagliato”? Potrò mai volermi bene? Come posso imparare, non solo a sopportarmi, ma proprio ad amare me stesso con gioia? Come si fa essere felici di come si è, senza pesantezza?
Conoscere il problema
Per trovare una soluzione a questo dilemma dobbiamo innanzitutto conoscere il problema. Ovvero, dobbiamo capire cosa di noi ci fa arrabbiare. Per questo motivo vediamo i tre aspetti che più ci fanno soffrire di noi stessi:
1) Limite. Cosa è il limite? Diciamolo subito: il limite è il nostro stesso essere persona, ovvero il fatto che si è stati creati. Nessuno di noi si sarebbe fatto come è. E questo vuol dire che qualcun Altro ci ha fatti così. Proviamo a fare degli esempi:
- Caratteristiche personali: essere alto/basso, maschio/femmina, con il naso grande/naso piccolo, con quel brufolo sulla guancia/senza brufoli;
- Avere certi doni invece di altri, certe passioni invece di altre. Non si possono avere tutti i doni: ne possiamo avere solo alcuni…il punto è scoprire quali doni abbiamo, ma lo vedremo dopo…
- Limiti di spazio e tempo: nessuno di noi può essere contemporaneamente in due posti diversi (a meno che non sei Padre Pio e hai il dono dell’ubiquità). Vorremmo essere in un altro posto e invece dobbiamo stare proprio qui.
- La stanchezza. Ognuno di noi si stanca e ha bisogno di riposare. Quante volte vorremmo tirare avanti a studiare (?) o a far casino con gli amici e invece ad un certo punto devo gettare la spugna perché non ce la faccio più?
In altre parole: siamo così come siamo! Siamo esseri de-limitati, cioè limitati, finiti, non possiamo farci niente. Questo vuol dire che, se qualcuno non l’avesse ancora capito, non siamo Dio, ma siamo delle creature. Qualcuno ci ha fatti.
2) Difetti o vizi. Quante volte diciamo: questo è un mio difetto. Per esempio: essere orgoglioso, permaloso, lamentarsi per tutto, vanitoso, essere pronto a misurare sempre quanto poco fanno gli altri. Ognuno può pensare alla propria vita e sono certo che, se si è sinceri con se stessi, troverà un elenco sterminato di cose di questo tipo. Ma tante volte, davanti a questi difetti/vizi, cosa aggiungiamo alla frase questo è un mio difetto? Molto semplice: sono fatto così e non posso farci niente. Non è vero! Ci sono dei vizi o dei difetti che si possono correggere, certamente con il tempo: ci vuole molto tempo per correggere alcuni difetti. Per esempio si può imparare ad avere un po’ di ironia, senza prendersi troppo sul serio. Se, per esempio sono uno permaloso, che se la prende subito se uno mi dice una cosa o mi fa una correzione, posso imparare ad accettare i consigli che mi vengono dati, posso iniziare a pensare che magari altri ne sanno più di me.
3) Errori/peccati. A volte commettiamo degli errori. C’è poco da fare. Nella vita si sbaglia. Innanzitutto bisogna ammetterli e dire: ho sbagliato. Ci vuole una grande umiltà a dire questa frase, però quando la si dice è molto liberante. Gli errori si commettono, non ci si può fare molto. Se rispondo male a qualcuno, se picchio un mio amico, c’è poco da fare: quello è un errore. Questo non vuol dire che sono fatto male: un errore si commette, punto e basta. L’importante è riconoscerlo e chiedere di essere perdonato.
Se ci fermassimo solo a questo, dovremmo dire: Siamo senza scampo. E invece per fortuna ognuno di noi ha anche dei doni, che sono, come si diceva prima, alcune caratteristiche (non tutte) che possiamo avere solo noi. Sono un po’ l’altra faccia della medaglia dei limiti: qualcosa che abbiamo noi e solo noi. Nessuno riesce, ad esempio, ad imitare come fa Giorgio; oppure poche persone riescono a gestire una cucina come Chiara o Alberto. Pochi sanno disegnare come Giulia. Abbiamo anche delle qualità, per fortuna! Solo che non sappiamo quali sono!
Limiti, difetti/vizi, errori, non conoscere i nostri doni: sono queste le cose che ci fanno normalmente soffrire. Non vorrei avere certi difetti, e non vorrei commettere certi errori: e questo mi fa arrabbiare ancora di più. Chissà cosa penseranno di me gli altri!
Sii benedetto o Signore, perché mi hai creata
C’è una via di uscita? È possibile dire questa frase di Santa Chiara oppure no? Si può accettare se stessi? Si può amare se stessi? Si, è possibile! Con il tempo, ma è possibile! Ecco allora le strade che ho trovato nella mia vita per raggiungere questo scopo:
1) un padre. Abbiamo bisogno di un padre, di una persona adulta, di un maestro, di una guida (chiamatela come volete) che mi possa guardare “con gli occhi con cui desidero essere guardata”. Un padre capace di perdonare gli errori che noi non riusciamo a perdonarci da soli; un padre che mi faccia scoprire i miei doni; un padre capace di ridere con me dei miei difetti, mentre io sarei capace solo di arrabbiarmi; qualcuno con cui essere me stesso, senza nascondere nulla di me. Insomma, qualcuno con cui guardare nel più profondo del mio cuore, anche le tenebre più oscure, e sia capace di farmi vedere il bene che c’è. Quante volte anche io mi sono trovato a dire a don Massimo o ad Atta: guardiamo insieme questo mio limite, questo mio difetto o vizio, questo errore che ho commesso, perché io da solo non ce la faccio. Ho paura. Quante volte mi sono sentito dire: Guarda che tu hai dei doni: coraggio, non avere paura!
2) Una comunità, cioè degli amici. È nel rapporto con altri amici e nel confronto con loro che io capisco i miei limiti e difetti, i miei errori e i miei doni. Stando con don Stefano, per esempio, ho capito che io sono più ordinato di lui; ma guardando anche come lui sta con le persone, come le accoglie, ho capito anche che io non ho pazienza, mi innervosisco facilmente. Se fossi rimasto chiuso in camera mia, probabilmente avrei immaginato di essere perfetto. Avere vicino degli amici, poi, mi fa capire che ci sono delle persone che mi vogliono bene qualsiasi cosa io faccia, e che, se mi correggono, lo fanno per il mio bene. Ci sono degli amici che si esaltano per i miei successi e le mie imprese; altri che mi aiutano a migliorarmi con i loro consigli. Dentro una comunità capisco che c’è posto anche per me. In oratorio, per fortuna, c’è posto anche per me, che sono così pieno di limiti e di difetti. Il bene che gli amici mi vogliono, aiuta a volermi più bene!
3) La preghiera: è pregando tutti i giorni, mettendomi tutti giorni davanti a Dio, che io scopro che sono voluto. Potrei non esserci, e invece qualcuno mi ha voluto, anzi, mi vuole, mi cerca, continuamente! Potrei non esserci, e invece ci sono! Ecco allora che posso dire: Sii benedetto, O Signore, perché Tu mi hai creata. Sii benedetto, perché mi hai dato la vita, mi hai amato, mi vuoi. Solo se si scopre che c’è qualcuno che ci vuole possiamo imparare con il tempo ad amarci! Solo quando si arriva a questo punto sorge allora la domanda: se mi hai voluto, se mi vuoi, perché? Per quale motivo? Perché mi hai dato questi doni? Qual è la mia strada? Si chiama “vocazione”, cioè la scoperta che ognuno di noi ha un compito preciso nella propria vita.
Concludendo, è inutile star lì troppo tempo a guardarsi dentro e dirsi: Oh come sono fatto male! Oh come vorrei essere diversa. È meglio imparare a guardare fuori di noi. Imparare a guardare la natura, i colori, i fiori, i volti degli amici o di un padre; un paesaggio, qualcosa di bello.