Da Fraternità e Missione Aprile 2025
La testimonianza della nostra amica suor Caterina Calvano, professa definitiva dal giorno della festa dell’Annunciazione.
“Certo che se Gesù è vero, bisogna dargli tutto, bisogna fare la suora!”. Ero appena arrivata a Torino per studiare, nel settembre 2014, e mi è scappata questa frase davanti alle mie nuove coinquiline, mentre scrollavo la tovaglia dopo pranzo. Con un po’ di vergogna, ho sperato che non mi avessero sentita. La verità è che avevo appena iniziato a spacchettare un grande regalo.
Sono cresciuta a Vasto, in Abruzzo, tra una partita di basket e una passeggiata in spiaggia. Dai miei genitori ho ricevuto la fede e l’appartenenza al movimento di Comunione e liberazione. Il paradiso doveva senz’altro essere bello come le vacanze estive in montagna con la comunità. Alle medie, dopo una serata sotto le stelle con i miei amici, ho intuito la promessa che Cl sarebbe stata la mia casa per sempre, che lì sarei stata felice. Ma durante l’adolescenza, piuttosto frizzante e irrequieta, il Movimento per me aveva perso ogni fascino. La passione per lo sport mi portò dai Salesiani, l’àncora attraverso cui il Signore mi ha tenuto nei suoi paraggi. Rimaneva però in me come un’amara delusione. Dopo le serate con gli amici del liceo, davanti al mare, chiedevo a Dio: “Dove sei? Dov’è finita la promessa di gioia che mi hai fatto?”. Nella burrasca o nel silenzio della notte, mi tornava indietro sempre la stessa risposta: “Dove sei tu?”. Alle porte dell’università, ero certa di poche cose: non avrei studiato materie scientifiche e non mi sarei coinvolta nella vita di Cl. Mio fratello maggiore mi convinse a trasferirmi a Torino per studiare Ingegneria, per di più in un appartamento insieme a otto ragazze del Movimento. Considero questa scelta bizzarra il colpo di sonno che ha permesso a Dio di riprendere il comando su di me.
Ho trovato una casa con la porta spalancata
Mentre facevo le valigie per Torino, cinque sacerdoti si preparavano a trasferirsi nella stessa città: una casa della Fraternità san Carlo sbarcava nella parrocchia di Santa Giulia negli stessi giorni in cui io entravo al Politecnico. Le mie coinquiline, incuriosite dall’arrivo dei sacerdoti, iniziarono a invitarli a cena da noi; così anch’io, pian piano, cominciai ad avvicinarmi a casa loro. Ho trovato una casa con la porta spalancata, abitata tutto il giorno da ragazzi e bambini. Una casa in cui potevo arrivare a qualsiasi ora, senza avvisare, solo per un saluto o per alleggerirmi del peso che portavo dentro. Quei preti erano lì per me, per noi, ed erano felici. E anche gli amici del Clu intorno a me erano felici.
Agli occhi del mondo, in realtà, il mio arrivo a Torino fu un grande fallimento: Ingegneria non era proprio la mia strada, e ricominciai iscrivendomi a Design. Avevo però aperto il grande regalo: la promessa di Dio era vera. Quando il mio amico Giorgio è partito per il seminario della san Carlo, ho pensato che anch’io avrei voluto appartenere a questa famiglia, essere una missionaria di Cristo. Ma in realtà l’avevo già pensato anni prima, quando sedicenne, d’improvviso, mi era sembrato urgente scoprire il mio posto nel mondo. Davanti alle persone che incontravo, mi chiedevo: “Vorrei essere così da grande?”. Una sera, in oratorio, una delle nostre educatrici ci aveva annunciato la sua partenza per un’esperienza di volontariato in Togo. “Ecco, sarò una missionaria!” mi ero detta, ed ero corsa dal sacerdote che ci seguiva. Sapevo che l’unico motivo per cui si può donare qualcosa è avere ricevuto tutto, e sapevo anche che a me era accaduto.
Quando delle simpatiche suore vestite di blu hanno iniziato a comparire per gli oratori estivi a Torino, nella missione dei sacerdoti, mi sono felicemente arresa a questa vita che Dio mi stava suggerendo. Intuivo che me la stava indicando Lui perché io non avrei mai potuto immaginarla. Ora, dopo gli anni passati nelle Missionarie, dopo tutti questi regali, cos’altro potevo fare se non ridonare tutto al Signore?