Giocare insieme per scoprire la bellezza della fede
di don Joao Brito
Suonano le campane della chiesa segnando le 16:30.
So che fra qualche minuto anche il suono insistente del citofono dell’oratorio arriverà fino al campetto, dove aspetto i bambini per un altro pomeriggio di catechismo.
So anche molto bene che presto saranno le loro grida ad avere il sopravvento su tutti gli altri suoni…
Da ottobre fino a maggio questa esperienza mi ha fatto compagnia. Tre volte a settimana ho trascorso i miei pomeriggi con i ragazzi dalla 2ª alla 4ª elementare: tra giochi, canti e discussioni assieme ci siamo preparati alla 1ª Comunione, traguardo bellissimo di incontro con Gesù. Questi momenti hanno avuto una loro progressione lungo tutto l’anno: all’inizio a dire il vero, e in particolare con quelli di 2ª elementare, il suono delle grida nel campetto non era così assordante. Talvolta con i più piccoli a prendere il sopravvento c’era il pianto che segnava il momento della separazione con i genitori. Nel tempo però, per fortuna, la situazione si è capovolta: il pianto è stato sostituito con il lamento della mamma che vedeva il figlio schizzare via con il pallone senza avere alcun riguardo per un ultimo saluto.
La separazione dei genitori non è l’unico momento traumatico, ce n’è uno ben peggiore: il mio urlo delle 17:00! “Via i palloni, andiamo su!”. L’univoco “Nooo!” che si alza fino al cielo è segno che la voglia di giocare dei bambini non si è affatto esaurita. E così per noi adulti comincia la dura fatica del riprendere tutti i palloni e di perseguire i più audaci in una sfida tra catechiste e bambini, che finisce puntualmente con la sconfitta di questi ultimi (ma incapaci di rassegnarsi, ci riproveranno la settimana successiva).
Pian piano i bambini si accorgono che il momento che passiamo assieme pregando, raccontando qualche storia della Bibbia, ascoltando e rispondendo alle domande non è meno importante del giocare assieme. Infatti, è in quel tempo che mettiamo le basi per l’incontro che ciascuno potrà poi fare con Gesù: se non Lo conosciamo, come possiamo sapere come rivolgerci a Lui? Come possiamo sapere dove trovarLo? Come possiamo sapere come cercarLo?
La faccia dei bambini non lascia spazio ai dubbi: si capisce subito se quello che stiamo dicendo gli interessa o meno, così scatta la bellissima sfida per noi educatori di riuscire a trovare un modo pertinente per trasmettere il tesoro che vogliamo consegnare.
Quando si sente l’eco lontano dei rintocchi che segnalano le 18:00 sappiamo che il tempo sta per finire, e quando vediamo che anche i genitori fanno fatica a trascinare fuori i figli che hanno ritrovato la compagnia dei palloni, il “Nooo!” che avevamo già sentito alle 17:00 ci fa sorridere. Ricordiamo che giocare insieme per i bambini è una delle esperienze più belle della vita. È il primo modo per costruire dei rapporti e per cominciare a partecipare di quella comunità cristiana a cui desideriamo introdurli.
Questa affermazione è ancora più ricca di valore adesso, che scrivo al termine del mio primo Maggio in Oratorio.
In una serata di giochi organizzata per i bambini delle elementari, tanti di loro hanno invitato per la prima volta alcuni compagni di scuola. Dalla bellezza vissuta insieme durante l’anno è nato in modo semplice un respiro missionario, segno che l’oratorio per loro è un luogo positivo dove potersi sentire a casa. E questo per me è un punto molto importante dell’annuncio della fede.