Il mio nome su un pezzo di carta
Una serata con il gruppo degli universitari
di Elena Negrini

Il giovedì è il giorno degli universitari. La sera ci ritroviamo tutti in casa parrocchiale per cenare e, dopo aver mangiato, comincia il nostro incontro.

Circa 25 ragazzi seduti attorno a un tavolo con una tisana in mano e qualche biscotto aspettano che don Paolo chieda “come state?”. Tendenzialmente questa semplice domanda crea sempre un po’ di imbarazzo. È veramente difficile affidare agli altri il proprio vissuto. Dopo un paio di minuti di silenzio qualcuno si fa coraggio e inizia a raccontare una parte di sé. C’è chi dice un fatto che l’ha particolarmente colpito durante la settimana, chi racconta di un problema che non sa come affrontare e chi invece condivide un traguardo che ha raggiunto con molta gioia. Noto che stiamo imparando a raccontarci agli altri con libertà e fiducia, con la certezza che nulla di quello che si dice verrà perduto.

C’è un piccolo gesto che fa don Paolo, che può sembrare scontato, ma che invece mi colpisce ogni volta.

Ancor prima di iniziare a parlare, don Paolo ha già scritto il mio nome sul suo quaderno. Non ho detto ancora nulla, ho solo alzato la mano, e lui ha già scritto il mio nome sul suo foglio. Come se qualunque cosa uscirà dalla mia bocca sarà importante e merita di rimanere scritta nero su bianco. E ciò accade per ogni ragazzo che interviene durante l’incontro!

Non sa se Simone dirà una piccola frase o se parlerà per venti minuti: don Paolo ha già la penna in mano ed è pronto a scrivere quello che sta per dire. Anche quando Francesca alza timidamente la mano e si prepara mentalmente il discorso, don Paolo si è già segnato il suo nome. Così, incontro dopo incontro, sto imparando che anche una sola parola detta da ciascuno di noi ha un valore infinito.

Quante volte ci capita di parlare con qualcuno e ci rendiamo conto che non stiamo ascoltando sul serio quello che ci sta dicendo. Nell’ambiente universitario mi accade spesso. Parlo con tanti miei compagni di corso, eppure non ricordo quasi nulla di quello che ci siamo detti.

Agli incontri degli universitari le nostre parole hanno un valore, hanno un significato per gli altri. Ciò che abbiamo vissuto e provato possiamo metterlo a disposizione per gli altri.
È bello poter sentirsi ascoltati veramente. Ho la percezione che quello che racconto durante gli incontri viene accolto nei cuori dei miei coetanei e viene custodito con cura.

Questo fa sì che Santa Giulia diventi una Casa, ovvero un luogo dove viene riconosciuto il valore di ognuno dei ragazzi che la abita. Diventa anche un porto dove tornare quando capita di perdersi dietro la frenesia delle giornate. Infatti, per noi universitari il giovedì sera resta un momento in cui ci fermiamo, ci guardiamo negli occhi e ci ascoltiamo. Un momento di pace.

Così, alla domanda “come state?”, iniziamo a rispondere seriamente con la consapevolezza che quello che abbiamo vissuto avrà sempre un valore per gli altri ragazzi, per don Paolo e per Dio.

Sto imparando che durante gli incontri dei ragazzi universitari, non serve che io faccia grandi discorsi filosofici. Posso dire anche qualcosa di piccolo, ma per il solo fatto che esisto, questo dà un valore al mio nome che verrà sempre scritto su un foglio di carta.